giovedì 15 febbraio 2018

"Il calcio balletto delle masse": Dmitrij Šostakovič


A volte è incredibile come basti un impulso, anche il più banale e insignificante, a stimolare delle idee per un testo da scrivere. È andata più o meno così: due domeniche fa ero, assieme alla mia bimba Alice, ad assistere alla sfilata dei carri del Carnevale di Viareggio - e di quale altro, sennò? 

Ecco, a un certo punto ne passa uno di quelli che più mi piacciono: s'intitola "Papaveri rossi" ed è un'allegoria sugli orrori della guerra. I figuranti sono tutti travestiti da soldati ed eseguono varie coreografie, preparate nel corso di alcuni mesi, sulle note di una colonna sonora appositamente scelta. 

Sto fissando quest'insolita scenografia fatta da un campo di papaveri giganti in cartapesta quando dalle casse esce una musica a me nota: è il Valzer 2 di Dmitrij Šostakovič, utilizzato nei titoli di coda del film "Eyes wide shut". La sinfonia, tornata alle mie orecchie dopo tempo immemore, mi rimbomba nella testa nei giorni successivi fino a che mi riaffiora un ricordo che avevo rimosso: ma Šostakovič non andava matto per il calcio? Inizio a fare un po' di ricerche e, beh, eccomi qui...

"Ascoltare il calcio alla radio è come bere Stolichnaya importata"
(Dmitrij Šostakovič)

'Era un tifoso rabbioso. Si comportava come un bambino. Sussultava. Urlava. Gesticolava'. Una descrizione esemplare per mettere in parole l'irrazionalità tipica dello sportivo che, da sempre al fianco della squadra che gli fa palpitare il cuore, passa dall'euforia per la vittoria alla disperazione in caso di sconfitta. Eppure a mostrare quelle attitudini era un uomo all'apparenza insospettabile, un timido e introverso compositore, addirittura uno dei più apprezzati dell'intero Novecento: Dmitrij Šostakovič. Che ha amato il pallone quanto e forse più degli spartiti. Anzi: a detta della sua biografa Laurel Fay, "il calcio offrì a Šostakovič una via di fuga sia dalla musica che dalle preoccupazioni della vita quotidiana".

La vita del compositore è come una lente d'ingrandimento attraverso cui osservare i cambiamenti epocali nella Russia del Novecento. Šostakovič venne alla luce nel 1906 a Pietrogrado, l'odierna San Pietroburgo, in una famiglia borghese di origini polacche - il cognome originario era Szostakovicz - ostile all'autocrazia zarista: era ancora fresco il ricordo della "domenica rossa", la manifestazione popolare di fronte al Palazzo d'Inverno di un anno prima repressa nel sangue dalle guardie imperiali. Il giovane Mitja, come venne chiamato Dmitrij in tenera età, era figlio della Grande Guerra e della Rivoluzione d'Ottobre: le due vicende epocali avrebbero segnato per sempre il suo percorso artistico ma anche umano.


Eseguendo la 'Sinfonia numero 1' si diplomò con il massimo dei voti al conservatorio della sua città natale, nel frattempo rinominata Leningrado ed elevatasi a capitale della nuova arte russa e dei movimenti d'avanguardia. Come il futurismo, che - così lo teorizzò Vladimir Majakovskij nella rivista "Lef" da lui fondata - doveva avvicinare la letteratura alla massa del proletariato, farla aderire alla realtà portandola nelle strade, nelle piazze, in mezzo agli operai e al popolo. La rivoluzione artistica sarebbe stata un prodromo di quella sociale.

"Liberatomi da tutti i pregiudizi inculcati, iniziai a studiare con giovanile entusiasmo gli innovatori della musica", scrisse Šostakovič ricordando quel periodo di grande fermento. Anche lui, adeguandosi alla sensibilità artistica della Russia - poi Urss - postrivoluzionaria e aderendo con convinzione agli ideali socialisti, mostrò una naturale propensione per le masse oppresse e povere. E, come ha osservato il biografo italiano Franco Pulcini, questa si tradusse nella passione per il calcio, a cui il governo centrale guardava con estrema diffidenza - era uno sport inventato dalla borghese Inghilterra, turbava la quiete pubblica con risse e incidenti, era considerato diseducativo - intuendone però le enormi potenzialità come strumento di propaganda.

Šostakovič era un ragazzino allampanato, dalla costituzione fragile, che si divertiva a giocare a pallone con compagni più piccoli di età nel cortile della sua abitazione nella centralissima Ulitsa Marata. Leningrado, oltretutto, è la culla del calcio russo: qui si disputò la prima partita di sempre nel territorio della futura Unione Sovietica. Quell'esile giovanotto che non disdegnava neppure l'hockey su ghiaccio e gli scacchi divenne uno dei più calorosi sostenitori della Dinamo, squadra dell'omonima polisportiva legata al Commissariato del popolo per gli affari interni (NKVD) e alla polizia segreta, che tra il 1926 e il 1935 vinse per sei volte il campionato cittadino di Leningrado: le più alte autorità sovietiche si sarebbero poi servite del tifo di Šostakovič a fini politici.

Sebbene il calcio in Russia abbia brancolato nella disorganizzazione fino al 1936, anno del primo campionato su scala nazionale inaugurato da una sfida proprio tra la Dinamo Leningrado e la Lokomotiv Mosca, il popolo se ne innamorò in modo talmente viscerale che l'apparato dovette rinunciare a qualunque intento "moralizzatore". Soprattutto, il pallone godette di notorietà nel mondo delle arti figurative e della letteratura ispirando le poesie di Osip Mandel'štam o di Nikolaj Zabolockij, il capolavoro "Invidia" di Jurij Oleša, i dipinti di Aleksandr Deineka e Aleksandr Samochvalov. Anche Majakovskij subì il fascino dello sport: nel suo testo teatrale "Il campionato della lotta mondiale di classe" diventava un'allegoria dello scontro fra l'Urss socialista e l'Occidente borghese. Un soggetto, questo, che si ripresentò nell'opera che più di altre combinò le grandi passioni di Šostakovič.

Era il 1929 quando al giovane pianista fu proposto di comporre le musiche per "L'età dell'oro" ("Zolotoij vek" in russo), un balletto in tre atti su libretto di Aleksandr Ivanovskij. "Secondo la sua consuetudine", scrive ancora Pulcini, Šostakovič preparò inizialmente una suite - la Op. 22a - e poi portò in scena lo spettacolo completo il 26 ottobre 1930 al Teatro dell'opera e del balletto di Leningrado - l'attuale Marinskij - con coreografie di Vasilij Vainonen, Leonid Iakobson e Vasilij Česnakov.


La trama, tratta dal componimento "Dinamiada" di Ivanovskij che s'ispirava a una tournèe europea della Dinamo Mosca, è quanto di più sciovinista si potesse concepire, eppure è anche uno spaccato del periodo interbellico: una squadra di calcio sovietica si avventura nell'Occidente capitalista e corrotto per partecipare a una competizione nell'immaginaria nazione di Faschland. Qui s'imbattono in personaggi di dubbia moralità come la ballerina Diva che tenta di sedurre il capitano russo con danze erotiche, il di lei fidanzato Fascista e altri ancora. La squadra subisce i maltrattamenti della polizia e finisce in gattabuia con un'accusa rivelatasi falsa - i fascisti avevano scambiato un pallone per una bomba - ma viene liberata da alcuni operai locali che si ribellano ai loro padroni. Dopo una danza di solidarietà fra i sovietici e i lavoratori, schiacciati dal capitalismo ma speranzosi di abbracciare un giorno la rivoluzione, cala il sipario.

Ne "L'età dell'oro" lo sport diventava un campo di battaglia ideologico: ai russi buoni e integerrimi con indosso sgargianti costumi rossi, blu e gialli si contrapponevano gli immorali occidentali in abiti neri. E poi il conflitto era tra due mondi sonori antitetici, come spiegò lo stesso Šostakovič:

"La base musicale include due elementi - la musica della cultura borghese dell'Europa occidentale moderna e la musica della cultura proletaria sovietica. Il confronto fra queste due culture è il mio obiettivo principale nel comporre 'L'età dell'oro'. Questo compito è realizzato come segue: le danze occidentali europee sono caratterizzate da un morbido erotismo che è così caratteristico della cultura borghese moderna, la danza sovietica l'ho riempita con gli elementi dell'attività fisica salutare e degli sport".

Tuttavia, il compositore non era granché soddisfatto del libretto. E lo spettacolo incontrò inizialmente i favori del pubblico - ebbe 19 repliche in due anni e sconfinò a Kiev e Odessa -, ma non della critica che stroncò sia i coreografi per lo "stile borghese" sia Šostakovič ("Impossibile ballare con tale musica") a cui rinfacciarono di aver attinto a piene mani dal jazz, dal fox trot e altri generi moderni sgraditi nella Russia di Stalin dove ormai spirava un altro vento. Negli anni del terrore fu messa al bando la libertà creativa, con l'imposizione del realismo sovietico come unica forma d'arte legittima, e mutò la reputazione del compositore: non più lodato come enfant prodige delle avanguardie, iniziò ad esser guardato con sospetto e addirittura minacciato di finire in un GULag.

Però a tirar su Šostakovič c'era il calcio, con le sue emozioni forti assenti nella vita privata. Era piuttosto frequente vederlo mescolato in mezzo alla folla, sorridente, allo stadio sull'isola Petrovskij e perfino in trasferta a Mosca: una volta lui stesso affermò di non essersi perso una singola partita in cinque anni - si concedeva il lusso di assistere a due incontri in un sol giorno, tifando sia per la Dinamo che per lo Zenit, l'altro undici pietroburghese che "tifo per inerzia, sebbene questo mi causi più angosce che gioie" come scrisse a un amico. Avevano ancora da venire i rubli della Gazprom...

Ai tempi in cui insegnava al conservatorio di Leningrado, nei mesi della primavera e dell'autunno capitava spesso che terminasse la lezione in anticipo: era una banalissima scusa per andare a incitare i suoi beniamini, tra cui quel Pëtr Dementijev a cui appiccicò il soprannome "ballerina" per i movimenti leggiadri, quasi coreografici, mostrati in campo. S'iscrisse addirittura alla scuola per arbitri di Leningrado prima della guerra, ottenendo una regolare licenza anche se non sono stati trovati documenti ufficiali al riguardo: è probabile che il certificato mostrato con orgoglio agli amici, citato anche dal figlio Maksim, gli venne rilasciato ad honoris causa. Durante una vacanza in Armenia si sarebbe finalmente ritrovato a dirigere una partitella improvvisata fra amici.

L'inverno era la stagione più drammatica per Šostakovič, non tanto per il gelo quanto per l'interruzione del campionato: in uno scambio epistolare con l'amico moscovita Valentin Naumovic - il calcio è menzionato in oltre un centinaio di lettere del celebre musicista - confessò che "una grande tristezza comincia a impossessarsi della mia persona" perché "ormai è l'autunno [...] fra poco finirà la stagione calcistica e ci aspetta un lungo inverno senza pallone". Per esorcizzare l'attesa, Šostakovič si rifugiava nella sua cerchia di amici ingegneri, giornalisti e artisti - ne faceva parte il pittore cubista nonché arbitro di pugilato Vladimir Lebedev, considerato colui che trascinò il compositore nella passione per il calcio - con cui discettava per corrispondenza di partite e tattiche.


Una volta approfittò dell'assenza della moglie durante un fine settimana e invitò a cena l'intera squadra della Dinamo - o dello Zenit, a seconda delle fonti -, terminando la serata a eseguire alcune sinfonie al pianoforte davanti all'incredula platea di calciatori. E in estate era solito lasciare momentaneamente la dacia in campagna, e la famiglia, per proseguire a piedi verso la più vicina stazione ferroviaria e tornare in città per recarsi allo stadio.

Nel suo caso, pallone faceva rima con ossessione: sono conservati ancora oggi i quaderni su cui catalogò i suoi componimenti per numero di opera e soprattutto annotava le partite in programma, i risultati e tutti i marcatori del campionato. Adorava alzare il gomito e scommettere, specie in compagnia dell'amico giornalista Arkadij Klijakin che gli rimediava i biglietti per le partite: se vinceva quest'ultimo i due andavano a festeggiare trangugiando una vodka dietro l'altra, se invece era il compositore ad azzeccare il pronostico - pare che, pessimista, puntasse sempre sulla sconfitta della sua squadra - s'intristiva per il risultato e non voleva che l'amico gli pagasse il pranzo.

Šostakovič era anche un acuto osservatore delle partite: una sera la redazione di un quotidiano, a cui l'inviato non aveva mandato nei tempi previsti il servizio su un incontro, telefonò nel cuore della notte al compositore supplicandolo di fornire i dettagli mancanti. E lui si limitò - si fa per dire - a dare un resoconto dettagliato, inclusi i nomi dei panchinari entrati in campo nelle battute finali.

Šostakovič era abbonato ad alcuni quotidiani sportivi, in particolare a Krasnji Sport ("Sport rosso", oggi chiamato Sovetskij Sport) per il quale scrisse di proprio pugno un articolo nel settembre 1942. In quel periodo, come si evince dalle lettere spedite all'amico Isaak Glikman, aveva sfollato con la famiglia a Kujbyšev - l'odierna Samara - a causa dell'assedio nazista alla città natale per poi spostarsi a Mosca, da dove continuava comunque a sostenere le sue squadre del cuore. Per il giornale più diffuso in tutta l'Urss confezionò un resoconto sulla sfida tra le due Dinamo, vinta per 4-2 da quella moscovita, in cui tessette lodi sperticate dei giocatori ospiti "difensori dell'onore dell'eroica città di Leningrado".

Secondo lo studioso Dmitrij Braginskij, non fu casuale che il musicista avesse dedicato qualche riga proprio a quella partita e proprio per quel foglio: entrambe le squadre dipendevano dalla polizia segreta e dal suo feroce capo Lavrentij Berija e il quotidiano era politicamente vicino al governo, il quale aveva tutto l'interesse a sfruttare a proprio vantaggio la fama - e la firma - di un'icona come Šostakovič specie dopo lo straordinario successo della Sinfonia numero 7.

Allo stesso modo, il musicista fu strumentalizzato in un'operazione simile due anni più tardi: era il maggio del 1944 quando su Večernaija Moskva ("Mosca sera") pubblicò un altro pezzo, più breve, in cui invocava un maggiore e sistematico utilizzo di giocatori giovani. L'articolo uscì mentre Šostakovič lavorava alle musiche di una scena coreografica dello spettacolo "Russkaja reka" ("Fiume russo"): la sinfonia, il cui secondo movimento si chiama 'Calcio', fu scritta apposta per la Compagnia del Club Dzeržinskij, altra organizzazione che faceva capo all'NKVD, e la scena venne scritta su preciso ordine di Berija, calciatore mancato ad alti livelli e ardente tifoso della Dinamo.

Una volta terminata vittoriosamente la guerra, e soprattutto dopo la morte di Stalin, la figura di Šostakovič venne riabilitata e la (tardiva) iscrizione al Partito comunista dell'Unione Sovietica mise a tacere le ultime malelingue. Il tempo passava, ma la passione per il calcio non si affievoliva: in un'intervista al quotidiano Izvestija nel gennaio 1966 manifestò il desiderio di andare in Inghilterra a seguire i Mondiali di calcio. Poche settimane prima del calcio d'inizio, tuttavia, ebbe un infarto dopo un concerto con le sue musiche a Leningrado: operato d'urgenza, dovette seguire l'intero torneo dal suo letto d'ospedale.

Il pallone l'ha ossessionato fino a poco prima di morire, facendogli scarabocchiare statistiche sul suo inseparabile quaderno e costringere la moglie giunta al suo capezzale ad ascoltare una partita alla radio. Un finale spiazzante, per lui che paragonò quell'esperienza a bere vodka importata. Un epilogo, se vogliamo, in linea con la sua esistenza di grandi contrasti, soprattutto nei rapporti con le gerarchie comuniste, ma con un'unica certezza - l'amore per il calcio, da lui etichettato come "il balletto delle masse".

Fonti:
Football in the GULag
Franco Pulcini, "Šostakovič", EDT (1988)
Lesley Chamberlain, "Shostakovich and football"
Mario Alessandro Curletto, "I piedi del soviet", Il melangolo (2010)
Dmitrij Braginskij, "Dmitry Shostakovich, sport and politics in the USSR"

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