lunedì 6 luglio 2015

Zanzibar tra calcio e sogni d'indipendenza


Era da mesi che volevo scrivere questo pezzo. Di sicuro da dicembre, dopo essere stato a Zanzibar per una settimana. Dopo essere passato, a bordo di un pulmino, a fianco dello stadio nazionale. Dopo aver ammirato le appassionanti sfide di pallone tra masai e zanzibarini giocate sulla spiaggia di Kiwengwa senza arbitri e con porte rudimentali. Eccolo qua, finalmente...

Otto riflettori con l'aspetto da scala a pioli sembrano quasi esortare ad arrampicarsi sulle nuvole e annunciano la presenza di un campo di calcio come un faro avvisa i naviganti della prossimità di un porto. Le linee morbide della tribuna dello stadio Amaan rievocano i flutti del mare. Ma l'armonia della struttura stride con le tettoie posticce delle baraccopoli, le griglie di lampadine cozzano con le tenebre delle strade attigue, all'apparente solidità dell'impianto fanno da contraltare palazzi fatiscenti. Benvenuti a Zanzibar, l'isola delle spezie, terra di spiagge da cartolina quanto di profondi contrasti, dove il pallone mantiene vivi i sogni d'indipendenza.

Foto Simone Pierotti

Eppure si deve al periodo coloniale l'arrivo del calcio in questo gruppo di isole incastonato al largo dell'Africa orientale: dopo le parentesi delle dominazioni persiane, portoghesi e arabe, l'arcipelago diventa un protettorato britannico nel 1890 dopo la stipula del trattato di Heligoland-Zanzibar tra Regno Unito e Germania, con il governo lasciato comunque nelle mani dei sultani omaniti.

Passatempi inglesi come calcio, cricket e hockey su prato sono già sopraggiunti da almeno un decennio: lo si deve a una trentina di dipendenti della Eastern Telegraph Company, azienda di telecomunicazioni, arrivati nelle isole per mettere in contatto Zanzibar con la remota Inghilterra. La sera, al termine della giornata lavorativa, si dilettano a far saettare palline e palloni.

Questi fanno proseliti al St Andrew's College nel villaggio di Kiungani, scuola di missionari cristiani che diffonde il verbo del Signore in un territorio a stragrande maggioranza musulmana e pure la passione per il calcio. Che nel giro di nemmeno mezzo secolo è praticato in qualsiasi angolo di Unguja, principale isola dell'arcipelago assieme a Pemba, dalle banchine del porto agli angusti vicoli di Stone Town fino alla lunga striscia di sabbia a Mnazi Mmoja.

Foto Simone Pierotti
Sorgono pure le prime squadre, espressione delle minoranze europee: c'è quella dei funzionari di governo, ci sono gli studenti della Universities' Mission to Central Africa e i Kiungani College Boys. Si formano enti come la Comorian Association o la Arab Association, legata all'aristocrazia omanita, per rivendicare le rispettive identità etniche.

E anche la popolazione indigena inizia ad attrezzarsi: tra il 1914 e il 1918 sotto i nomi di innumerevoli villaggi si raccolgono adulti divisi dai mestieri ma accomunati dal desiderio di giocare a pallone. Anche i poveri e i reietti hanno beniamini da adorare: i New Kings e i New Generation si contrappongono alle rappresentative per le quali simpatizzano europei e arabi, finendo per rovesciare le gerarchie sociali che regolano la quotidianità lontano dal terreno di gioco. Come i Caddies dell'European Golf Course, la squadra dei dipendenti che sfida - e sconfigge - quella dei danarosi datori di lavoro.

Il periodo tra le due guerre mondiali segna la definitiva svolta del calcio a Zanzibar: ai bordi del rettangolo verde si radunano frotte di tifosi e nei villaggi diventa pratica diffusa per gli uomini radunarsi nei luoghi di ritrovo e commentare i risultati delle partite. I tempi sono ormai maturi per la nascita del primo campionato, al quale prendono parte nove squadre, e per la costituzione della Federazione Calcistica di Zanzibar - Chama cha Mpira wa Miguu Zanzibar in lingua swahili. Due eventi spartiacque che si verificano nello stesso anno, il 1926.

Il pallone, adesso, non è più un mero passatempo - è una febbre che contagia tutte le classi della società zanzibarina: gli europei lo percepiscono come uno strumento utile a rafforzare la propria posizione egemone, i nativi dell'isola intravedono la possibilità di fomentare il nazionalismo africano. I britannici annusano la malaparata e per questo non si accontentano più di controllare gli organi politici: ai vertici del neonato Sports Control Board piazzano "residenti" di fiducia. Le squadre del popolo, in tutta risposta, si coalizzano e dalla loro fusione nasce l'African Sports, pensata per rinsaldare il senso di appartenenza alle proprie radici.

Foto Simone Pierotti
A partire dagli anni Cinquanta la supremazia britannica inizia a sgretolarsi. E non soltanto in ambito sportivo: nel dicembre 1963 Zanzibar ottiene l'indipendenza, diventando una monarchia costituzionale sotto il controllo del sultano e di un'oligarchia araba. Alle prime elezioni democratiche vincono il filoarabo Partito Nazionalista e il socialista Partito Afro-Shirazi, con quest'ultimo che mira a guidare una rivolta.

Nemmeno un mese dopo, il 12 gennaio 1964, scoppia la rivoluzione: mentre i leader dell'Afro-Shirazi e del partito marxista Umma si trovano in Tanganica, sull'isola di Unguja centinaia di africani imbracciano i fucili e in poche ore prendono il controllo di edifici governativi e stazioni di polizia. Il sultano Jamshid bin Abdullah e i suoi tirapiedi sono costretti alla ritirata e lasciano Zanzibar per sempre. Sulla scena irrompe John Okello, un ex poliziotto ugandese iscritto all'Afro-Shirazi che millanta di aver servito come feldmaresciallo in Kenya nella rivolta di Mau Mau: autoproclamatosi capo dell'insurrezione, viene destituito ed esiliato quando rientrano sull'isola i segretari dei due partiti.

Già ad aprile, però, l'Afro-Shirazi si fonde con l'Unione Nazionale Africana del Tanganica, principale forza politica dell'omonima colonia britannica nel frattempo resasi indipendente dalla corona. Dall'accostamento delle prime tre lettere dei rispettivi nomi nasce l'odierna Tanzania, con tanto di Federcalcio subito iscritta alla FIFA.

Ironia della sorte, ad affrontare Zanzibar nell'incontro del suo debutto sulla scena internazionale è stata proprio la Tanganica: è accaduto alla Gossage Cup, istituita nel 1926 e così chiamata in onore dell'azienda di saponi William Gossage and Sons Ltd che ha donato il trofeo da assegnare alla squadra vincitrice tra le rappresentative di quattro protettorati britannici.

A Uganda e Kenya, per quasi un ventennio anni uniche partecipanti al torneo, si aggregano solo successivamente Tanganica e Zanzibar. Le ultime arrivate si sfidano a Dar Es Salaam nelle semifinali dell'edizione 1947: gli isolani rimediano una sconfitta per 3-1. Cinque anni dopo si consuma la vendetta: nella finale di consolazione Hijah Saleh firma una storica tripletta e Zanzibar festeggia con un bel 3-1 la sua prima vittoria nella competizione.

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La rivalità calcistica permane anche dopo l'accoppiamento tra i due ex protettorati: pur essendo una semplice regione della neonata Tanzania, Zanzibar sventola con orgoglio la propria bandiera fino a ripristinare, nel 1981, il proprio campionato nazionale. E non rinuncia alla Gossage Cup: nel 1965 il girone all'italiana da quattro squadre propone l'imbarazzante scontro Tanzania-Zanzibar, vinto per 3-0 dai primi.

Il Paese, nel frattempo, è divenuto destinatario delle attenzioni della Repubblica Popolare Cinese, incline a foraggiare le rivolte antimperialiste e le lotte d'indipendenza in Africa senza lesinare sulle spese: già negli anni Cinquanta la Cina ha intrecciato rapporti commerciali e diplomatici, inaugurando al Cairo la sua prima ambasciata nel Continente Nero. Ora finanzia la faraonica linea ferroviaria da 1.860 chilometri tra Tanzania e Zambia, ma il calcio non è da meno: con l'ampliamento dell'Uhuru Stadium di Dar es Salaam nel 1969 e la costruzione ex novo dell'Amaan Stadium, gioiellino da 15mila posti, a Zanzibar nel 1970 ha avvio la lunga stagione della "diplomazia degli stadi".

Come se niente fosse, la selezione dell'arcipelago continua a imperversare in quella che viene ribattezzata in via definitiva Council for East and Central Africa Football Associations (CECAFA) Challenge Cup, ormai allargata a varie nazioni dell'Africa centrorientale: molte di queste sono regolarmente affiliate alla FIFA. Diversamente da Zanzibar, a cui è preclusa la partecipazione a Mondiali o Coppa d'Africa.

Ma il senso di frustrazione per il mancato riconoscimento rimane temporaneamente sopito nel 1995: gli zanzibarini si qualificano per le semifinali dell'ex Gossage Cup, dove eliminano l'Etiopia dopo i calci di rigore. Nell'atto supremo affrontano i padroni di casa della Nazionale B dell'Uganda: basta una risicata vittoria con appena una rete di scarto per dimenticare anni di umiliazioni e disfatte.



Esattamente dieci anni dopo, invece, la Federcalcio di Zanzibar conosce uno dei momenti più bui della sua ottuagenaria storia: dopo la scissione dalla Tanzania Football Federation nel 2002 e il riconoscimento della CAF inoltra la richiesta di adesione alla FIFA. Ma il consesso del massimo organo calcistico mondiale la rigetta: "Non è un Paese riconosciuto dalla comunità internazionale", si legge nelle motivazioni.

La Zanzibar Football Association torna all'ovile, ma è una convivenza durissima: da tempo lamenta di non ricevere parte del programma di aiuti che la FIFA stanzia in favore della Federcalcio tanzaniana e destinati anche alle isole. Lo stesso arcipelago presenta una marcata spaccatura politica interna: all'unionista Chama Cha Mapinduzi si contrappone il secessionista Fronte Civico Unito. Dopo schermaglie e accuse di brogli in due tornate elettorali di inizio millennio, i due partiti si riconciliano a seguito di un referendum indetto nel 2010: è l'anno in cui la Cina finanzia i lavori di rifacimento allo stadio Amaan. La FIFA, intanto, rispedisce al mittente un'altra richiesta di affiliazione avanzata nel 2011.

Foto www.zanzinews.com
Almeno, Zanzibar può dire di aver comunque giocato due Mondiali, sebbene riservati a regioni, minoranze etniche e Paesi non indipendenti - la Fifi Wild Cup in Germania nel 2006, dove si arrende solo in finale a Cipro del Nord, e la Viva (oggi ConIFA) World Cup in Kurdistan nel 2012 chiusa con un onorevole terzo posto. Gli eroi della spedizione in terra tedesca sono stati i difensori Nadir "Cannavaro" Haroub e Aggrey Morris, il capocannoniere dell'avventura in Medio Oriente è il centrocampista con vizietto del gol Khamis Mcha Khamis: già convocati nella nazionale della Tanzania in occasione di incontri ufficiali, sono la perfetta personificazione dell'ingarbugliata questione.

Di sicuro, non è un caso che il 12 gennaio d'ogni anno le celebrazioni della ricorrenza della rivoluzione abbiano luogo sul manto erboso e sulla pista d'atletica dell'Amaan. Gli zanzibarini assiepati sui gradoni assistono alla festosa parata. Ricordano il loro passato e sognano un futuro nel segno dell'indipendenza. Affidandosi - ecco che si ripete il paradosso - a uno dei lasciti del colonialismo.

Fonti:
Laura Fair, "Kickin' it: Leisure, Politics and Football in Colonial Zanzibar, 1900s-1950s", Journal of the International African Institute,Vol. 67, No. 2 (1997), pp. 224-251
Steve Menary, "Zanzibar: swimming against the tide", In Bed With Maradona, 6/12/2011
"Fifa turns Zanzibar down", BBC Sport, 8/3/2005
"Zanzibar profile - Overview", BBC News, 16/6/2015
"Zanzibar wants football independence", BBC Sport, 2/3/2002
"Zanzibar, hopes for change", BBC Sport, 24/10/2003
Palmares Gossage Cup, RSSSF.com
Zanzibar Champions, RSSSF.com
"SMZ to protect Amaan Stadium", The Guardian IPP, 1/4/2010
Alaba Ogunsanwo, "China's Policy in Africa, 1958-71", Cambridge University Press, 1974

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