sabato 21 maggio 2011

Kabul do Brasil - 1


Una nazionale di pallanuoto maschile dell'Afghanistan, creata dal nulla in una terra senza tradizioni né strutture. Ma con un sogno: partecipare ai Giochi di Rio de Janeiro del 2016. La sfida di un americano che può dare speranza ad un paese dilaniato da oltre trenta anni di dolore .


«Esiste un modo per tornare ad essere buoni» ricorda Rahim Khan ad Amir nelle prime pagine de “Il cacciatore di aquiloni”, libro di Khaled Hosseini, scrittore afghano trapiantato negli Stati Uniti. Difficile, al giorno d’oggi, pensare al paese dell’Asia Centrale ed al suo destino senza tener conto degli yankees. Perché i rapporti tra le due nazioni sono stati allacciati assai prima che due aeroplani sconvolgessero un tranquillo mattino di New York andando a schiantarsi sulle ripide pareti delle Torri Gemelle.

Era l’11 settembre 2001 e, dopo poche settimane, Washington dichiarò guerra all’organizzazione terroristica Al-Qā‘ida, dando vita ad una guerra, quella in Afghanistan, ancora lontana da un epilogo. Eppure, c’è un altro risvolto della presenza americana a Kabul e dintorni. Una sorta di dimensione parallela, nella quale gli spari dei fucili sono rumori uditi in lontananza e le colonne di fumo provocate dai bombardamenti si perdono all’orizzonte. E nella quale, soprattutto, lo sport gioca un ruolo fondamentale. Con gli Stati Uniti che provano davvero a ridare speranza ad un paese martoriato.

I destini di USA e Afghanistan si incrociano per la prima volta nel 1979: è la notte di Natale quando le truppe sovietiche iniziano l’invasione nel vicino paese, fatto, questo, che avrà serie ripercussioni nello sport e sulle Olimpiadi in particolare. È un paese instabile, l’Afghanistan di quegli anni, turbato da numerose agitazioni interne: prima il colpo di stato di Mohammed Daud Khan nel 1973, sotto cui avviene la transizione da monarchia a repubblica, poi nell’aprile 1978 l’assassinio di Mir Akbar Khyber, dirigente del PDPA, partito comunista all'opposizione, ed infine la Rivoluzione di Saur, conclusasi con l’eccidio di Daud Khan e della sua famiglia. 

Nasce, così, la Repubblica Democratica Afghana e Nur Muhammad Taraki, segretario generale del PDPA, ne diventa il presidente, dando avvio ad un periodo di riforme e di secolarizzazione della società. Per poco: mentre continua a tener banco in seno al PDPA lo scontro tra due fazioni - l’estremista Khalq ed il moderato Parcham -, Taraki muore in circostanze misteriose nel settembre 1979. Ne prende il posto Hazifullah Amin, suo rivale per la leadership all’interno della corrente Khalq, considerato da molti il responsabile della morte dell’ex presidente. 

Sul fronte opposto non potevano mancare altri ribelli, incarnati soprattutto nella figura dei mujāhidīn, i «combattenti della guerra santa», fautori di una controrivoluzione ispirata al dogma islamico. Molti di loro finiscono sotto arresto o vengono giustiziati, ma nella loro insurrezione contro il regime di Amin possono contare sul sostegno di alleati quali Gran Bretagna, Pakistan e, soprattutto, Stati Uniti. Che, va da sé, sono contrapposti all’Unione Sovietica, schierata invece a fianco del governo di Kabul.

(1 - continua)

Nessun commento:

Posta un commento