venerdì 11 giugno 2010

Argentina 78: vincere per occultare


Sentivate la mancanza del calcio, dopo la fine dei campionati e delle coppe europee? Tranquilli, da oggi la vostra fame verrà ampiamente saziata: in Sud Africa iniziano i Mondiali, i primi che si giocano nel Continente Nero.

Come sempre, tra le nazionali favorite figura l'Argentina, allenata da Diego Armando Maradona, che il Mondiale lo vinse da giocatore nel 1986. Il primo titolo dei sudamericani risale al 1978 e quel trionfo è uno dei tanti esempi dei molteplici intrecci tra sport e potere: la vittoria della nazionale argentina divenne il velo di Maya di schopenaueriana memoria per nascondere le malefatte della dittatura militare che all'epoca regnava nel paese.

Ripropongo oggi questa storia, esattamente come feci quattro anni fa in un altro mio blog, nel frattempo smantellato. Lo faccio sia perché la storia merita di essere raccontata anche qui, sia perché quattro anni fa fu l'Italia a laurearsi campione del mondo.

E allora, con la speranza che questo articolo - nel frattempo sottoposto a qualche piccola modifica - possa nuovamente portare fortuna agli azzurri, faccio a tutti i miei lettori l'augurio di un buon Mondiale.


 Storico trionfo e riscatto di un paese in miseria? Semplice montatura per occultare i misfatti di un governo sanguinario? Eroi nazionali o complici del potere? Il Mondiale del 1978, organizzato dall'Argentina e vinto proprio dalla Selección, al primo trionfo iridato, si trascina ancora oggi tutti questi interrogativi.

La vittoria della nazionale era infatti legata a doppio filo al regime dittatoriale instaurato in quegli anni, con il generale Jorge Rafael Videla a capo della Giunta militare salita al potere nel 1976 con un colpo di stato. Una dittatura che gli stessi autori ribattezzarono "Processo di Riorganizzazione nazionale".

La Giunta militare ha appositamente creato un comitato organizzatore dell'evento, chiamato Ente Autarquico Mundial 78: la presidenza è diventata motivo di disputa tra l'esercito di Videla e la marina militare di Emilio Massera.

In un paese in cui la Selección ha la priorità su tutto ed il fútbol è considerato un mezzo con cui espiare le proprie sofferenze quotidiane, Videla ed i suoi uomini hanno ben pensato che vincere il Mondiale casalingo porterà qualche consenso in più al regime e riuscirà ad offuscarne le malefatte di cui finora si è macchiato.

Prima di tutto bisogna partire da un allenatore vincente. Sulla panchina siede attualmente César Luis Menotti detto "el flaco", ex militante del partito comunista argentino e per questo mal visto dai capi del regime. Quell'allenatore smilzo e capellone che legge Cortázar e Sartre è un personaggio scomodo, specie per il suo passato da radicale.

Il compito di liquidarlo è affidato a "El gordo" Muñoz, speaker di Radio Rivadavia dalle simpatie fasciste. L'occasione sembra giungere propizia con l'amichevole del 1977 tra Argentina e Polonia al Monumental di Buenos Aires: Muñoz si cala subito nel suo ruolo e dalla sua postazione annuncia che "per trenta milioni di argentini è arrivato il momento della verità: Menotti devi mostrarci le tue carte, i tifosi non apprezzano più il tuo gioco...dovresti trovare il coraggio di lasciare il posto!".

Menotti esce per ultimo dal tunnel, avvolto in un impermeabile nero: sa che i 40mila degli spalti decideranno il suo futuro sulla panchina della nazionale. L'inizio non è incoraggiante: la squadra gioca male, le stelle non brillano e la Polonia passa in vantaggio, con Muñoz che a stento nasconde la sua gioia. Mancano venti minuti alla fine, il destino del flaco pare segnato.

Ma accade l'incredibile: Kempes realizza il pareggio, i tifosi del Monumental iniziano a sostenere a gran voce squadra ed allenatore: "Menotti no se va, Menotti no se va...". Il titolo a caratteri cubitali del Que Pasa del giorno dopo è già pronto: «Menotti è l'uomo giusto per la Selección».

I militari incassano il colpo, Menotti resta fino al Mondiale. Da questo momento il governo fa quadrato attorno alla squadra: giocatori ed allenatori dovranno rilasciare interviste solo in materia calcistica, la stampa nazionale avrà l'obbligo di non parlare male della nazionale, pena il sequestro, la scomparsa o l'esilio.

Molti giornalisti fuggono in Spagna, mentre Muñoz viene scelto come voce ufficiale del Mondiale, divenendo in breve tempo uno dei principali estimatori del "flaco".

Intanto il Mondiale inizia e l’Argentina arranca: nel girone eliminatorio colleziona due successi per 2-1, contro Ungheria (in rimonta) e Francia, e viene poi sconfitta di misura dall'Italia con un gol di Bettega.

Nel frattempo, a nemmeno un chilometro di distanza dal Monumental, i dissidenti di Videla vengono rinchiusi e torturati nella Escuela Mecánica de l'Armada (Esma): i prigionieri devono solo sperare che l'Argentina arrivi il più lontano possibile, in modo da rendere i loro carcerieri meno irritabili.

I fortunati cento superstiti, riusciti a fuggire da quella prigione, raccontano dei boati provenienti dallo stadio udibili nelle carceri dell'Esma, delle esultanze a braccia alzate del comandante Jorge Acosta detto "el Tigre".

È chiaramente visibile qualche spinta da parte del regime: nella prima partita, l'Argentina vince 2-1 con l'Ungheria grazie soprattutto all'arbitro portoghese Garrido che espelle i magiari Törőcsik e Nyilasi. Successivamente, contro la Francia, lo svizzero Dubach concede un rigore generoso ai padroni di casa per un involontario fallo di mano di Trésor e sorvola su un netto fallo, degno della massima punizione, ai danni dell'attaccante transalpino Six.

La mano invisibile del regime diventa fin troppo evidente nel secondo turno quando l'Argentina, dopo aver battuto 2-0 la Polonia e pareggiato 0-0 con il Brasile, nell'ultima partita con il Perù deve vincere con tre gol di scarto e segnare almeno quattro reti per poter accedere alla finalissima.

L'attaccante peruviano Juan Carlos Oblitas racconta che prima della partita Videla ed il segretario di Stato USA Henry Kissinger scesero nel loro spogliatoio con il tentativo di intimidirli. Sul campo l'Argentina vince 6-0, con la chiara complicità del portiere di origini argentine Rámon Quiroga: è al primo posto del girone assieme al Brasile, ma si qualifica in finale contro l'Olanda priva di Cruijff, assente per motivi politici, proprio in virtù della differenza reti.

25 giugno 1978, stadio Monumental: finalissima tra Argentina ed Olanda. Gli europei sono a dir poco impauriti dal clima che aleggia attorno alla rassegna, i sospetti di aiuti da parte del regime alla vittoria dell'Argentina sono più che legittimi.

Lo dimostrerà anche il fischietto della finale, l’italiano Gonella, che non punirà una gomitata di Passarella su Neeskens, e poi fermerà gli olandesi per due volte per un dubbio fuorigioco. Al 38' Kempes rompe il ghiaccio, ma la festa dei biancocelesti è rovinata dall'1-1 firmato a nove minuti dalla fine da Poortvliet.

All'Esma i detenuti tifano fortemente Argentina: si trema per il palo colpito da Rensenbrink nel finale che potrebbe mandare su tutte le furie i già feroci carcerieri. Poi ai supplementari ancora Kempes ed infine Bertoni regalano una gioia al popolo argentino, qualche consenso in più al governo di Videla e l'occasione ai detenuti di fuggire approfittando dello stato di gioiosa ebbrezza dei militari.



Ecco che il primo alloro mondiale dell'Argentina assume più di un significato. Gli olandesi, dal canto loro, disertano per protesta la cerimonia di premiazione.

I nomi dei giocatori vengono incisi su una delle pagine più importanti della storia argentina: Fillol, capitan Passarella, Kempes, Tarantini, Gallego, Bertoni, Ardiles, Luque, Olguín, Galván...

Cosa accade dopo la magica notte del 25 giugno? Alcuni calciatori decidono di incontrare le madri di Plaza de Mayo, Menotti diventa una specie di Dio tanto idolatrato quanto accusato nel frattempo di imborghesirsi, una delegazione americana capitanata dal presidente Jimmy Carter giunge per verificare se i diritti umani siano violati, Galtieri prende il posto di Videla.

Si arriva alla crisi economica, i militari non solo hanno compiuto le loro ordinarie stragi ma hanno anche indebitato il paese con la Banca Mondiale.

Il Mondiale 1982 è quello in cui l'Argentina dovrà confermarsi: Menotti chiama a sé Maradona, clamorosamente escluso quattro anni prima. Fallito il tentativo di confermarsi, nel 1986 l’Argentina torna ad alzare la Coppa del Mondo: nel frattempo nel paese è stata ripristinata la democrazia e Menotti - ora ribattezzato "el rábano" (il ravanello, rosso fuori e bianco dentro, per aver abbandonato il suo passato comunista) - non è più l’allenatore.

Al suo posto c’è Carlos Bilardo che, otto anni dopo, riporta l’Argentina sul tetto del mondo. Ma questa volta senza macchie di sangue sulla casacca albiceleste.

Fonti:
"Diario" - maggio 2002

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