lunedì 9 novembre 2009

Il gol che fece scricchiolare il muro


Oggi, 9 novembre, è una data particolarmente importante nella millenaria storia dell'uomo. Per la Germania, in particolare, il 9 novembre ha una duplice valenza. Fu il giorno in cui, nel lontano 1918, fu ufficialmente proclamata la Repubblica di Weimar: era la prima forma di governo repubblicana in un territorio che, fino alla sconfitta patita durante la Prima Guerra Mondiale, era stato sotto il dominio di un imperatore.

Ma è un altro 9 novembre ad essere letteralmente scolpito nella memoria dei tedeschi e di una larga porzione di mondo: nel 1989 venne abbattuto il Muro di Berlino. Un evento, questo sì, davvero epocale: assieme a quella barriera in cemento che ha tagliato la città per 28 anni crollò anche l'Unione Sovietica e, con essa, il comunismo nell'Est Europa. 

Oggi, 9 novembre, ricorre dunque il ventesimo anniversario della caduta del Berliner Mauer. Come è già accaduto - e come accadrà in seguito - nel recente passato, intendo celebrare a modo mio la ricorrenza. Ovvero raccontando un episodio che intreccia sport, storia e tanto altro ancora...

No, non poteva essere un incontro di calcio qualunque. Era un momento storico, emozionante, carico di forti significati. Sarebbe potuta essere una stretta di mano tra i rispettivi capi di stato, in qualche stanza di un qualsiasi palazzo presidenziale.

E invece per volontà del fato furono i palmi dei capitani delle nazionali di calcio ad intrecciarsi: Franz Beckenbauer da una parte, Bernd Bransch dall'altra. Al posto di un'aula presidenziale, un campo di calcio fece da perfetta cornice per questo avvenimento.


Amburgo, 22 giugno 1974. Nello stadio della città anseatica si gioca una partita del primo turno dei Mondiali di calcio. Non è una sfida particolarmente importante ai fini della competizione: le squadre che si affrontano hanno già guadagnato la qualificazione al turno successivo. Ma non sono due nazionali qualsiasi.

Sono Germania Ovest e Germania Est, per la prima avvolta avversarie in ambito calcistico. Da una parte ci sono i padroni di casa, i più forti, i più ricchi, i più conosciuti: indossano la tradizionale maglia bianca a girocollo nero con l'aquila sul petto.

Dall'altra ci sono gli "ospiti" dei cugini dell'Est, i più deboli, i più poveri, quelli che calciano un pallone perché sono stati scartati dall'atletica leggera: non per questo, però, sono meno noti. Pochi mesi fa il Magdeburgo ha conquistato la Coppa Uefa a spese del blasonato Milan. La nazionale orientale scende in campo con indosso una maglia azzurra con collo a V bianco e lo stemma della Ddr proprio all'altezza del cuore.

Il derby tra le due Germanie non è l'unica partita dai contorni politici: nello stesso girone c'è anche il Cile, arrivati alla competizione al termine dello spareggio-farsa contro l'Urss che, per protesta verso il regime di Pinochet, non si presentò allo stadio cileno teatro di numerose torture inflitte agli oppositori della dittatura. I sudamericani si arrendono subito ai padroni di casa dell'Ovest (1-0, segna il terzino maoista Breitner) e poi pareggiano contro i cugini poveri dell'Est, nel frattempo vittoriosi sulla debuttante Australia.

Ad Amburgo le due nazionali giungono con la qualificazione già in tasca: rimane solo da assegnare il primato del girone A. Ma forse in palio non ci sono due punti. Per quanto separate da un muro di cemento a Berlino, per quanto le forze in campo siano dispari quanto a tecnica ed organizzazione tattica, Germania Ovest e Germania Est condividono lo stesso sangue. Il sangue germanico, di un popolo battagliero, indomito, mai arrendevole.

Parimenti è il calcio tedesco: poco spettacolare e tuttavia, ermetico, solido, pragmatico, fatto di giocatori abituati a sputare sangue, quasi fossero soldati sul fronte. Gli occidentali di Helmut Schön, finora poco convincenti, mai avrebbero lasciato vincere loro, gli "ospiti". I quali, come il celebre personaggio della cultura popolare Faust, avrebbero venduto l'anima a Mefistofele pur di sconfiggere i loro fratelli benestanti.


Quando una partita di calcio cessa di essere semplicemente una partita di calcio, finisce che il pubblico si annoia. Già, troppi significati politici attorno a questi ventidue giocatori, compresi i loro allenatori e l'arbitro, l'uruguayano Barreto. Troppe pressioni. Persino i timori alla vigilia di un possibile attentato per mano della cellula terrorista Baader-Meinhof. Ma sì, un pareggio salomonico, anzi, diplomatico può accontentare tutti quanti.

Minuto 77. Il difensore centrale Kurbjuweit esegue un lungo lancio in diagonale, indirizzando il pallone proprio nell'area piccola.

In mezzo a tre difensori della Germania Ovest sbuca, scattante, il centravanti Jürgen Sparwasser che "accalappiò il pallone con la sua testa, se lo portò sui suoi piedi, corse di fronte al tenace Vogts e, lasciandosi persino Höttges dietro, lo piantò alle spalle di Maier in rete". Con queste parole il Nobel per la letteratura Günter Grass immortala il gol che, da quella sera tedesca di mezza estate, iniziò a far scricchiolare il muro di Berlino.

I quasi 60mila spettatori di fede occidentale sono ghiacciati, zittiti. "Non è successo niente" urla, inutilmente, Beckenbauer ai compagni increduli. Sugli spalti del Volksparkstadion, frattanto, esultano i tedeschi dell'Est giunti dalle loro case in treno, muniti di un visto turistico valido appena per la durata dell'incontro: il gol di quell'attaccante con la maglia numero 14, lo stesso di Johann Cruijff, ha sbriciolato in un battito di ciglia la tanto osannata superiorità di quella parte di Germania che sorge al di là della barricata.

La Ddr di Georg Buschner, contro ogni previsione, si qualifica alla fase successiva come prima classificata nel girone A, davanti ai padroni di casa, ai fratelli ricchi. Davide batte nuovamente Golia.

Il torneo riserverà destini differenti alle due Germanie: quella dell'Est non riesce a ripetere il miracolo al cospetto dell'Argentina, della fortissima "Arancia meccanica" - ovvero l'Olanda del calcio totale di Rinus Michels - e del Brasile campione mondiale.

Più fortunati gli occidentali che sconfiggono Svezia, la sempre temibile Jugoslavia e la sorprendente Polonia di Deyna e Lato e, successivamente, alzano al cielo la Coppa del Mondo superando dopo l'iniziale svantaggio l'Olanda. Ma sul trionfo iridato dei tedeschi di Helmut Schön rimarrà la macchia della clamorosa disfatta contro la Ddr. Quella che per gli italiani è Caporetto, per la nazionale campione del mondo è una Waterloo, come disse Beckenbauer.

Come ben si addice ad un paese nell'orbita comunista, in un'epoca in cui Internet non consentiva una diffusione così ampia delle notizie, attorno all'eroe di Amburgo nacquero subito leggende metropolitane circa un premio consistente in un'automobile, una casa nuova ed un conto in banca: nulla di tutto questo, se non una ricompensa di 2.500 marchi a testa per aver raggiunto la seconda fase.

Ma Sparwasser guadagna qualcosa di ben più prezioso: come il pallone calciato dal suo piede destro gonfiò brutalmente la rete difesa da Maier, così il suo gesto fece irruzione nell'immaginario collettivo dei due popoli. La Germania si riscoprì patriottica grazie al calcio, a quella prima sfida tra fratelli divisi dal muro.

E quando la barriera crollò per davvero, quella notte del 9 novembre 1989, quando un'identità sportiva tedesca andava ancora ricostruita, i fratelli riappacificati si chiedevano, l'un l'altro:

"E tu, dov'eri quando Sparwasser segnò?"



Fonti:
"Diario" - numero I, anno I - 31 maggio 2002
S. Kuper, "Calcio e potere", ISBN, 2008

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