venerdì 11 settembre 2009

L'attaccante che non salutava Pinochet


http://footballjourney1.blogspot.com
Oggi è l'11 settembre e, com'era prevedibile, è piuttosto nutrita la schiera di coloro che ricordano - giustamente - l'ottavo anniversario degli attentati al World Trade Center di New York: 2974 persone hanno pagato con la loro pelle l'odio che gli Stati Uniti hanno seminato dopo anni ed anni di politiche estere all'insegna dell'imperialismo (a tal riguardo suggerisco la lettura di "Perché ci odiano?" del giornalista Paolo Barnard) e che, con l'attacco alle Torri Gemelle, si è ritorto contro loro stessi. 

Com'era altrettanto prevedibile, meno spazio è stato dedicato dai media ad un'altra triste ricorrenza: l'11 settembre del 1973 il generale Augusto Pinochet, con la compiacenza degli Stati Uniti, prendeva il potere in Cile con un golpe militare nel corso del quale morì il presidente della Repubblica, democraticamente eletto tre anni prima, Salvador Allende. 

Quel giorno i golpisti circondarono e sganciarono le bombe sulla Moneda, il palazzo presidenziale, con dei caccia Hawker Hunter fabbricati nel Regno Unito: si aprì in questo modo una delle pagine più tristi nella storia del Cile e del Sud America. Il coinvolgimento diretto degli Usa nell'operazione militare non è mai stato provato (qui trovate un interessante dossier al riguardo), tuttavia l'allora presidente Nixon e, soprattutto, il segretario di Stato Kissinger non nascosero la loro avversione al governo di Allende, una sorta di "incubo socialista". Nello stesso anno Kissinger venne insignito di un discutibile premio Nobel per la pace.

Anche io voglio ricordare, a modo mio, l'11 settembre "dimenticato". Con una storia che intreccia lo sport - il calcio, in questo caso - e la politica: è la storia di Carlos Humberto Caszely Garrido, per lungo tempo miglior marcatore nella storia della Nazionale cilena, e di un incontro per le qualificazioni ai Mondiali a dir poco surreale.

Santiago del Cile, 21 novembre 1973. A due mesi dal golpe militare che ha portato al potere il generale Augusto Pinochet, la nazionale di calcio si gioca la qualificazione ai Mondiali dell'anno successivo, in programma in Germania Ovest: sulla strada dei sudamericani c'è lo spareggio contro la temibile Unione Sovietica.

Il 26 settembre a Mosca va in scena il match di andata: le due squadre chiudono a reti inviolate grazie all'eccellente prestazione dei centrali difensivi cileni Quintano e Figueroa. Il ritorno è in programma nella capitale cilena: lo stadio nazionale, da luogo dedicato allo sport più popolare del mondo, è diventato in men che non si dica un grande campo di concentramento a cielo aperto. Gli spalti si trasformano in prigioni, gli spogliatoi nel luogo delle fucilazioni, i sotterranei nelle camere di tortura.

http://footballjourney1.blogspot.com
L'eco della triste trasformazione dell'Estádio Nacional solca gli oceani e giunge in tutto il mondo: i sovietici si rifiutano di giocare in uno stadio pieno di prigionieri politici, chiedono di far disputare il match di ritorno in campo neutro ed invitano la Fifa ad effettuare delle verifiche all'interno dell'impianto. Gli ispettori del massimo organo calcistico mondiale, però, non ravvisano alcuna irregolarità e concedono l'agibilità all'Estádio Nacional.

L'Urss, frattanto, non si schioda dalla sua posizione: in segno di protesta, non scenderà in campo. La Roja allenata da Luis Álamos viene invitata dalla Federcalcio nazionale a presentarsi comunque allo stadio, con la consapevolezza che i sovietici sono rimasti a Mosca: la vittoria a tavolino per 2-0 qualifica di diritto il Cile ai prossimi Mondiali. 


I militari approfittano dell'occasione per radunare sugli spalti migliaia di tifosi che assistono ad una delle più grandi pantomime nella storia dello sport: la nazionale cilena scende in campo contro un avversario fantasma, con un arbitro austriaco che si presta alla messinscena, pronto a dare il fischio d'inizio di un'assurda contesa.

Dopo essere passato tra i piedi di nove diversi giocatori, il pallone finisce a Carlos Caszely, popolare attaccante del Colo Colo e fervido sostenitore di Allende: deciso a calciarlo in fallo laterale per non prestarsi alla farsa sceneggiata dal regime, all'ultimo istante lo passa al capitano Francisco Valdés, figlio di operai e militante di sinistra, l'incaricato di depositare la sfera nella porta sguarnita. Valdés, al rientro negli spogliatoi, si rinchiude in bagno ed inizia a vomitare. Anche Caszely si sente un vigliacco e con lui tutti gli altri giocatori: la paura che serpeggiava prima dell'incontro adesso cede spazio alla vergogna.



Berlino Ovest, 14 giugno 1974. Il Cile esordisce ai Mondiali contro i padroni di casa della Germania Ovest: i tedeschi rompono gli indugi con una staffilata di Breitner, il terzino sinistro maoista, e mantengono l'esiguo ma prezioso vantaggio sino alla fine. Non è una giornata memorabile per Caszely: El Gerente - questo il suo soprannome - tenta di scalciare il difensore avversario Vogts e si fa espellere, divenendo così il primo calciatore nella storia dei Mondiali a vedersi sventolare il cartellino rosso, introdotto nell'edizione precedente.

La Roja, orfana del suo principale terminale offensivo, pareggia il successivo incontro con la Germania Est (1-1) per poi chiudere mestamente con uno scialbo 0-0 contro la modesta Australia. L'uscita di scena è tanto immediata quanto ingloriosa, il rosso della maglia sembra coincidere con il sangue di cui il regime si è macchiato, così come sporca era la qualificazione del Cile ai Mondiali.

Per anni quella stessa maglia sarà interdetta a Caszely, a causa della sua avversione a Pinochet: viene richiamato per la Copa America del 1979, nel corso della quale trascina i compagni in finale, e poi contribuisce alla qualificazione per i Mondiali di Spagna del 1982. Qui Carlitos fallisce un rigore nell'incontro con l'Austria: la stampa cilena lo accuserà di averlo fatto intenzionalmente per le sue simpatie socialiste.

Chiude la sua esperienza in nazionale con 49 presenze e 29 reti: attualmente è il terzo miglior marcatore di sempre nella storia della Roja, dopo l'ex laziale Marcelo Salas e l'ex interista Ivan Zamorano. Nel 1985 si ritira dall'attività agonistica: la sua ultima partita si chiude come una tumultuosa manifestazione politica, contrassegnata da numerosi incidenti.

Dopo aver vissuto per anni con un profondo senso di vergogna per non aver fatto niente per il suo paese, per gli amici seviziati e fucilati allo stadio, Caszely decide di uscire allo scoperto. Corre l'anno 1988: le norme transitorie della Costituzione, scritta e voluta dallo stesso Pinochet, prevedono l'indizione di un referendum per votare un nuovo mandato presidenziale della durata di 8 anni. Nella propaganda elettorale televisiva Caszely diventa protagonista di un duro spot contro il dittatore: l'ex attaccante racconta la cruda storia di sua madre, sequestrata e torturata dai golpisti.

La sua popolarità, specie tra i cileni che avevano subito gli orrori del regime, contribuisce alla sorprendente vittoria del fronte del No con il 58% dei consensi: la Costituzione stessa prevede adesso libere elezioni per l'anno successivo. Alle urne i cileni decidono di voltare pagina, scegliendo il candidato avversario Patricio Aylwin, esponente di centrosinistra.

Tuttavia, Pinochet rimane a capo dell'esercito fino al 1998, divenendo in seguito senatore a vita con il beneficio dell'immunità parlamentare e ricevendo nel frattempo (1993) una speciale benedizione da parte del papa Giovanni Paolo II. Muore il 10 dicembre 2006, dopo diciassette anni di dittatura e 30mila vittime sulla coscienza e senza un solo giorno trascorso in un carcere.

Intervistato da una radio spagnola, Caszely, divenuto nel frattempo giornalista sportivo e commentatore in patria per l'emittente tv Canal 13, ha raccontato all'indomani della scomparsa del dittatore: "Nella nazionale cilena non ci fu mai un sì o un no: non si parlava di politica".

E poi: "Tutte le volte in cui ho incontrato Augusto Pinochet in occasioni ufficiali non l'ho salutato né gli ho dato la mano, non mi sono mai piaciuti i dittatori. Credo nella democrazia e credo anche di essere stato l'unico calciatore democratico degli anni Settanta".


(L'articolo è stato citato dal giornalista Nicola Filippone nel suo blog)

5 commenti:

  1. Simone, sei stato molto bravo! Mi hai tenuto incollato alla pagina dalla prima all'ultima riga. La storia di Carlos Caszely non la conoscevo, ma è bellissima! Un abbraccio e continua così!

    RispondiElimina
  2. I complimenti sono doverosi per una storia significativa quanto ben raccontata! Segnalo anche che, in quello stesso 1973, URSS e Cile dovevano affrontarsi anche per le semifinali della Coppa Davis di tennis. L'Urss però rifiutò di recarsi in Sudamerica in protesta con il regime Pinochet. Il Cile poté così ospitare a Santiago la finale con l'Italia. Il resto è storia. Tanti chiedono agli azzurri di ripetere il gesto della Russia e rifiutarsi di andare a giocare a Santiago. Bertolucci e Panatta si limitano a scendere in campo con la maglietta rossa come segno di protesta e a dispetto della partigianeria di arbitri e giudici di linea vincono la prima e unica Coppa Davis della nostra storia. Una delle più "politicizzate" della storia, su cui Calopresti ha girato un documentario "La maglietta rossa", che sarà presentato alla festa del cinema di Roma. E l'anno dopo ancora politica protagonista in Davis. Vincerà infatti il Sudafrica, perché l'India si rifiuta di giocare la finale nel Paese che professa l'apartheid.
    Ciò detto, questo blog è davvero spettacolare!

    RispondiElimina
  3. Caro Alessandro,

    grazie davvero per i tuoi complimenti. E grazie per aver raccontato questo episodio che, proprio pochi giorni fa, è stato argomento della chiacchierata tra Fazio e Panatta a "Che tempo che fa". Potrebbe essere un'occasione per parlarne anche su questo blog ;)
    A quando un tuo blog sul calcio visto da una prospettiva "antropologica"?

    Saluti,
    Simone

    RispondiElimina
  4. Complimenti come al solito..
    volevo solo correggere Alessandro che narra correttamente tutti gli eventi ma la Davis vinta dall'Italia è del 1976 e non del 1973 mentre la vittoria a tavolino del Sudafrica contro l'India è giustamente del 1974 con si Sudafricani che avevano vinto in casa proprio contro i tennisti italiani.
    Vorrei vedere il documentario di Calopresti anche perché la storia della maglietta rossa è emersa solo recentemente infatti i giornali contrari alla Davis boicottarono l'evento mentre quelli favorevoli non diedero importanza al gesto.

    Nicola Sbetti

    RispondiElimina
  5. Nicola, troppo gentile, come sempre.

    Comunque, come scrisse Giuseppe su Pianeta Sport, è uscito un libro sull'argomento: sarebbe bello leggerlo...ma dubito che lo tradurranno in italiano.

    RispondiElimina