mercoledì 26 agosto 2009

"Lo spirito sportivo" di George Orwell


Chissà, forse direte che sono un sognatore, tanto per citare John Lennon. Però non credo di essere l'unico, sempre per citare John Lennon. Sono fortemente convinto del fatto che lo sport possa contribuire ad abbattere certe barriere (culturali, ideologiche, linguistiche, religiose) tra le nazioni, specialmente laddove non scorre buon sangue tra loro.

D'altro canto, però, non sono mancati episodi che sembrerebbero avvalorare la tesi opposta, e cioè che lo sport sia motivo di contrasto, di ostilità, anziché di unione. Tra i sostenitori di questa tesi c'è anche un nome illustre: George Orwell, autore di romanzi che hanno fatto la storia della letteratura come "La fattoria degli animali" e "1984". Lo scrittore inglese, in particolare, osservava come lo sport moderno fosse uno dei tanti prodotti delle cause che avevano portato alla nascita del nazionalismo: in sostanza, sostenne Orwell, molte manifestazioni sportive scatenano la violenza tra gruppi opposti, come ad esempio le tifoserie.

Tutte queste considerazioni appaiono in un saggio intitolato "The Sporting Spirit", pubblicato il 14 dicembre 1945 su
Tribune, settimanale inglese di orientamento socialdemocratico. Per quanto io ami Orwell e i suoi due capolavori sopraccitati, non sono così pessimista come lui. Forse nelle sue parole riecheggia l'asprezza degli anni del nazionalismo, dei nazionalismi, che hanno prodotto una serie di dittature oramai tristemente note a tutti. O forse ha fatto l'ennesima profezia...

"Ora che la fugace visita della squadra di calcio della Dinamo è giunta al termine posso dire pubblicamente quello che molte ragionevoli persone andavano dicendo, in via privata, prima dell’arrivo dei giocatori della Dinamo. E cioè questo, che lo sport è un incessante motivo di ostilità, e che se una visita del genere dovesse avere ripercussioni sulle relazioni anglo-sovietiche, questa potrebbe solamente renderli leggermente peggiori rispetto a prima.

"Persino i quotidiani sono stati incapaci di tenere nascosto il fatto che almeno due dei quattro incontri giocati hanno spinto a incattivire gli animi. Alla partita dell’Arsenal, mi ha raccontato qualcuno che era presente, un giocatore britannico ed uno russo sono venuti alle mani e la folla ha fischiato l’arbitro. L’incontro di Glasgow, mi ha informato qualcun altro, è stato semplicemente un parapiglia fin dall’inizio. C’è poi stata una polemica, tipica della nostra epoca del nazionalismo, sulla composizione della squadra dell’Arsenal.

"Era una squadra che rappresentava davvero tutta l’Inghilterra, come hanno affermato i russi, o era soltanto una squadra del campionato inglese, come sostenuto dai britannici? E la Dinamo ha interrotto la sua tournée all'improvviso per evitare di giocare contro una squadra che rappresentasse veramente tutta l’Inghilterra? Come al solito, tutti rispondono a queste domande in base al proprio orientamento politico.

"Non proprio tutti, comunque. Ho notato con interesse, quale esempio delle brutali passioni che il calcio alimenta, come il corrispondente sportivo del quotidiano filorusso News Chronicle abbia intrapreso la linea antirussa ed abbia affermato che l’Arsenal non è una squadra rappresentativa di tutta l’Inghilterra. Senza dubbio, la polemica continuerà ad echeggiare nelle note a piè di pagina dei libri di storia. Nel frattempo, il risultato della tournée della Dinamo, per quanto abbia avuto un qualche esito, sarà stato quello di creare una fredda ostilità da entrambe le parti.

"E come potrebbe essere altrimenti? Rimango sempre sbalordito quando sento dire che lo sport crea benevolenza tra le nazioni, e che se solo la gente comune potesse incontrarsi nel calcio o nel cricket, non sarebbe in alcun modo incline ad incontrarsi sul campo di battaglia. Anche se non lo sapesse, grazie a esempi concreti - i Giochi olimpici di Berlino del 1936 -, che le competizioni sportive internazionali conducono a orge di astio, una persona potrebbe dedurlo da principi generali.

"Quasi tutti gli sport praticati oggigiorno sono agonistici. Giochi per vincere, ed il gioco ha un significato modesto, a meno che tu non faccia di tutto per vincere. In un giardino pubblico nel centro di un paese, dove trovi piccole squadre e dove nessun sentimento di patriottismo locale è coinvolto, è possibile giocare per puro divertimento e per fare un po’ di attività fisica: ma non appena si presenta il problema del prestigio, se senti che tu e qualcun altro più grande sarete screditati se perdete, vuol dire che sono stati risvegliati gli istinti battaglieri più selvaggi.

"Chiunque abbia giocato una partita di calcio a scuola lo sa perfettamente. In ambito internazionale lo sport, detto francamente, è un’imitazione della guerra. Ma l’aspetto significativo non è la condotta dei giocatori bensì l’attitudine degli spettatori: e, dietro gli spettatori, quella delle nazioni che finiscono per infuriarsi su queste assurde competizioni, e che credono seriamente - per brevi periodi, comunque - che correre, saltare e dare un calcio al pallone costituiscano una prova di virtù nazionale.

"Persino uno sport tranquillo come il cricket, che richiede grazia piuttosto che forza, può essere causa di ostilità, come abbiamo visto nella disputa sul bodyline [1] e sulle rozze tattiche della squadra australiana che fece visita all’Inghilterra nel 1921. Nel calcio, un gioco nel quale tutti si fanno male ed ogni nazione ha un suo stile di gioco che appare sleale agli occhi di quelle straniere, la situazione è di gran lunga peggiore.

"Il peggiore di tutti è la boxe. Uno degli spettacoli più orribili nel mondo è il combattimento tra pugili bianchi e di colore davanti ad un pubblico misto. Ma il pubblico del pugilato è sempre disgustoso, ed il comportamento delle donne, in particolare, è tale che l’esercito, credo, non permetta loro di assistere a queste competizioni. Ad ogni modo, due o tre anni fa, quando le Home Guards [2] e le truppe regolari stavano organizzando un torneo di pugilato, fui piazzato di guardia alla porta d’ingresso, con l’ordine di lasciar fuori le donne.

"In Inghilterra, l’ossessione dello sport è abbastanza negativa, ma passioni addirittura più feroci sono sorte in nazioni giovani dove l’attività sportiva ed il nazionalismo sono, in entrambi i casi, sviluppi recenti. In paesi come India e Birmania, è necessario che agli incontri di calcio vi siano forti cordoni di polizia per dissuadere la folla dall’invasione di campo. In Birmania ho visto i tifosi di una squadra farsi strada tra la polizia e mettere fuori gioco il portiere della squadra avversaria in un momento cruciale. Il primo grande incontro di calcio giocato in Spagna, circa quindici anni fa, portò ad una rivolta incontrollabile. Non appena sorgono forti sentimenti di rivalità, la nozione di giocare nel rispetto delle regole svanisce sempre.

"La gente vuol vedere una squadra affermarsi e l’altra squadra umiliata, e dimentica che la vittoria ottenuta barando o con l’intervento della folla non ha alcun significato. Anche se gli spettatori non intervengono fisicamente, provano comunque a influenzare l’andamento del gioco incitando la loro squadra e innervosendo i giocatori avversari con urla ed insulti.

"Lo sport serio non ha niente a che vedere con il fair play. È semmai strettamente legato all’astio, alla gelosia, alla vanagloria, alla noncuranza di qualsiasi regola e al sadico piacere di assistere a manifestazioni di violenza: in altre parole è come la guerra, ma senza l’esecuzione.

"Invece di perdere tempo a parlare della pulita e salutare rivalità del campo da calcio e del grande ruolo giocato dai Giochi olimpici nel tenere unite le nazioni, è più utile chiedersi in che modo e perché sia nato questo culto moderno dello sport. La maggior parte dei giochi che adesso pratichiamo sono di antiche origini, ma non sembra che lo sport sia stato preso molto seriamente nel periodo compreso tra l’epoca romana ed il diciannovesimo secolo. Persino nelle scuole pubbliche inglesi il culto per i giochi non è iniziato fino alla parte più recente dell’ultimo secolo.

"Il dottor Arnold, generalmente riconosciuto come il fondatore della moderna scuola pubblica, considerava i giochi semplicemente una perdita di tempo. Poi, soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti, i giochi sono stati ingranditi in un’attività massicciamente finanziata, capace di attirare vaste folle e di risvegliare passioni selvagge, e la contaminazione si è diffusa da paese a paese.

"Sono state le due discipline più violentemente combattive, calcio e pugilato, a diffondersi maggiormente. Non c’è alcun dubbio che tutto ciò sia legato alla nascita del nazionalismo - che è la lunatica, moderna abitudine di identificarsi con i grandi centri di potere e di guardare tutto in termini di prestigio agonistico.

"Inoltre, è più verosimile che i giochi organizzati fioriscano in comunità urbane dove l’uomo medio vive una vita sedentaria, o comunque confinata, e non ha molte opportunità di svolgere lavoro creativo. In una comunità agreste un ragazzo o un giovanotto elimina buona parte delle sue energie in eccesso camminando, nuotando, arrampicandosi sugli alberi, andando a cavallo ed anche praticando i vari sport che comportano crudeltà verso gli animali, come la pesca, il combattimento tra galli e lo stanare i ratti con un furetto.

"In una grande città un individuo deve indulgere alle attività di gruppo se desidera avere una valvola di sfogo per la sua forza fisica o per i suoi impulsi sadici. I giochi sono considerati seriamente a Londra e a New York, ed erano presi seriamente a Roma e a Bisanzio: nel Medio Evo erano praticati, e probabilmente con molta brutalità fisica, ma non erano mescolati con la politica né erano causa di ostilità tra i vari gruppi.

"Se voleste aumentare la vasta riserva di ostilità esistente al mondo in questo momento, difficilmente potreste farlo meglio che attraverso una serie di incontri di calcio tra ebrei ed arabi, tra tedeschi e cechi, indiani ed inglesi, russi e polacchi, e italiani e jugoslavi, ogni incontro destinato ad essere visto da un pubblico misto di 100.000 spettatori.

"Ovviamente, non insinuo che lo sport sia una delle principali cause di rivalità internazionale: lo sport su larga scala è, credo, solamente un altro effetto delle cause che hanno prodotto il nazionalismo. Ancora, peggiorate la situazione mandando avanti una squadra di undici uomini, classificatisi come campioni nazionali, a dar battaglia ad alcune squadre rivali, e permettendo ad essa di sentirsi dire da ogni parte che qualsiasi nazione che verrà sconfitta «perderà la faccia».

"Spero, dunque, che non daremo seguito alla visita dei giocatori della Dinamo mandando una squadra britannica in trasferta nell’Unione Sovietica. Se proprio dobbiamo farlo, allora lasciateci mandare una squadra mediocre che di sicuro verrà sconfitta e che non potrà essere rivendicata come rappresentativa della Gran Bretagna nella sua interezza. Ci sono già abbastanza cause di problematiche e non c’è bisogno di incrementarle incoraggiando dei giovani a darsi l’un l’altro calci sugli stinchi tra i ruggiti degli spettatori infuriati."


[1] Il bodyline era una tattica del cricket che fu escogitata dalla nazionale inglese in occasione della tournée del 1932-33 in Australia, valevole per il The Ashes (una serie di test match tra inglesi ed australiani): in particolare fu uno stratagemma per far fronte alle straordinarie capacità del battitore australiano Don Bradman. Un lanciatore mirò la palla al leg stump (cioè uno dei tre pioli di cui è composto il wicket, la “porta” del cricket) del battitore avversario, nella speranza di creare deviazioni nella leg side (la metà campo che si trova alle spalle del battitore) che possano essere intercettate da uno dei tanti fielder (esterni) che si trovano nel quadrante dietro la square leg (l’area dove si trovano i pitcher, lanciatori). Sebbene nessuno dei battitori venisse duramente colpito durante la messa in pratica di questa tattica, il bodyline creò tanta ruggine tra le due nazionali al punto da estendere la polemica pure in ambito diplomatico. Successivamente, molte regole del cricket furono modificate in modo da prevenire la ripetizione ad oltranza del bodyline.

[2] Le Home Guards furono un’organizzazione di difesa dell’esercito britannico nel corso della seconda Guerra Mondiale. Operative dal 1940 al 1944, le Home Guards (che comprendevano un milione e mezzo di volontari locali altrimenti non reclutabili per il servizio militare) agìrono come forze armate di difesa secondarie, in caso di invasione da parte delle forze armate della Germania nazista. Le Home Guards vigilavano sulle aree costiere della Gran Bretagna ed in altri luoghi fondamentali come le fattorie e i rivenditori di esplosivi.


(Qui potete leggere il testo in lingua originale)

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